Saturday, April 23, 2005

Meg: Essenza Multiforme

Ci sono quelli che non cambiano mai. Quelli che prendono un’idea e se la portano dietro tutta una vita, quelli che non rischiano perché tanto “chi s’accontenta gode” e contento lui contenti tutti.
Poi ci sono quelli che si mettono in gioco, quelli che dribblano anche quando il portiere è battuto e la porta è vuota.
Quelli che prendono la strada incerta e lasciano il sentiero. Quelli che ci mettono la faccia e non hanno paura di perdere la credibilità.
Che poi si sa: se fai quello in cui credi è difficile perderla quella cosa lì…anzi…

Le interviste del lunedì mattina presto sono un supplizio da cui sfuggirei volentieri. Meg la pensa come me e mentre versa l’acqua minerale nei bicchieri racconta i postumi di una notte brava.
Il motivo per cui siamo qui è un altro: il motivo per cui siamo qui è un disco che esce in questi giorni e che, per la prima volta, porta il nome e la faccia della nostra signorina preferita.
Un disco coraggioso, una valvola di sfogo:

“Già, sfogo è la parola giusta. Mi sono sfogata ed ho buttato alle mie spalle anni ed anni di repressione”.

Meg ride e scherza, il discorso è più complesso di così, molto più complesso:

“Alcune di queste canzoni me le porto dietro da anni, da prima ancora che ‘i Posse’ si prendessero una pausa. Altre sono nate in studio durante l’anno passato a fare avanti e dietro tra Napoli e Torino. Alcune invece sono venute così, di getto, senza che neanche me ne accorgessi.
Prendi Simbiosi, per esempio, stavo attraversando la strada e mi sono messa a cantare il ritornello, di botto… praticamente identico a quello che è finito nel disco e poi, guarda…”

Meg apre un quaderno e dentro c’è un intero fiume di parole. Riflessioni che poi sono diventate canzoni, frasi e pensieri che si sono trasformate in strofe e ritornelli.

“Mentre scrivevo i testi mi sono ricordata di quando mia madre, ex professoressa di Italiano, da bambina mi faceva giocare con le parole, come in una sorta di caccia al tesoro. Cercando i sinonimi e scegliendo le parole che più mi piacevano, quelle che ‘stavano in metrica ’, mi sono ritornati alla mente proprio quei ricordi di quando ero bambina oppure le volte in cui, per motivi di studio o per altro, mi sono avvicinata alla poesia. Questo mi ha fatto capire che in realtà stavo facendo una specie di viaggio a ritroso dentro me stessa.
In questo disco ci sono tutte le mie esperienze ed origini, anche per quanto riguarda la musica.
C’è una parte di me che ama la musica elettronica ed una parte di me che impazzisce per le canzoni anni sessanta. Mi ricordano di quando i miei le ascoltavano a tutto volume, la domenica mattina.
E poi: c’è una parte di me che è cresciuta con la tradizione napoletana, un’altra che… tutte influenze che sono presenti nel disco ma di cui mi sono resa conto solo a posteriori.
Per esempio: quando ho incominciato a lavorare a questi pezzi con il mio computerino, erano tutti in quattro quarti, poi aggiungendo e levando mi sono resa conto che alcune cose non andavano bene e riguardando i pezzi ho scoperto che erano diventati tutti in ‘tre quarti’, se non in ‘sei ottavi’.
Praticamente il ritmo della tarantella…ed anche lì, ragionandoci su ho capito che tutto questo è accaduto perché quando studiavo il pianoforte i miei preferiti erano proprio i brani in ‘tre quarti’.
Forse questo è accaduto perché per la prima volta mi sono trovata da sola a pensare ad ogni singolo aspetto dell’album, cosa ha generato in me una sorta di bulimia musicale, una multiformità non cercata, biologica quasi. Io sento che dentro di me, nel bene e nel male, convivono anime diverse, magari anche in contraddizione tra di loro. Se guardi bene, il disco rispecchia proprio questo: ci sono pezzi con diecimila tracce sovra incise ed altri totalmente minimali, con pochissimi elementi.
Inizialmente l’album si doveva chiamare Multiformis proprio per sottolineare questa mia tendenza a percorrere strade diverse ed apparentemente inconciliabili. Alla fine ho deciso di chiamarlo semplicemente Meg.
Per riuscire a finirlo c’è voluto quasi un anno intero, gli undici pezzi dell’album ad ottobre dell’anno scorso erano già tutti scritti. Ci ho lavorato fino a poco prima di questa estate. Prima da sola: Marco Messina (membro anche lui dei 99Posse, agitatore elettronico per Mousikèlab coinvolto in vari progetti underground come Resina e Kyo)è stato molto importante mi ha insegnato come programmare le ritmiche ed il resto.
Le percussioni, le sequenze di archi, i synth… tutte cose che ho messo io ed in alcuni casi ho lasciato nel disco proprio quelli con i suoni digitali dei provini.
Poi a Torino, in un vero studio di registrazione, ho continuato il lavoro con Carlo U. Rossi.
Sono stata molto fortunata ad aver trovato persone che mi hanno assecondato in tutto e per tutto. Persone pazze come me, capaci di stare un’intera giornata a perdere tempo su una batteria come su una sequenza d’archi. Dei pazzi, insomma”.

La bottiglia d’acqua è quasi finita, le risate lasciano il passo a discorsi più seri:

“E’ la prima volta che butto me stessa in pasto al mondo, la prima volta che lo faccio in maniera così netta e diretta.
Per ovvi motivi, non avevo mai fatto un disco così intimo e personale ed all’inizio ho avuto un po’ paura. C’è stato un momento in cui ho pensato seriamente di mandare tutto all’aria, di tenermi tutte queste canzoni per me e chiuderle in uno scrigno. Ma non sarebbe stato giusto.
Alla fine ho capito che non aveva senso avere paura. Con gli anni ho imparato ad essere impermeabile all’esterno, a capire quali sono le mie priorità. Non faccio musica per gli altri, lo faccio per me, perché è una mia esigenza, perché mi fa stare bene e ne ho bisogno. Sono riuscita a riappropriarmi dell’inclinazione, totalmente infantile, di poter ‘fare’ qualcosa.
Questa è la mia forma d’espressione, quando faccio le cose le faccio soprattutto pensando a non tradire me stessa.
E’ come quando scegli un amico: lo fai per il puro gusto di dare delle cose, perché pensi che quella persona abbia delle cose in comune con te e non per secondi fini. E’ la stessa cosa che provo quando scrivo un pezzo. Lo stesso tipo di amore gratuito che una madre prova per un figlio, non a caso spesso le opere d’arte, i quadri dei pittori, vengono considerati dagli autori proprio come se fossero dei figli. Dietro c’è lo stesso puro amore”.

Guardi negli occhi Meg e ti rendi conto di come questa dicotomia (multiformità, tanto per restare in tema) faccia in tutto e per tutto parte della sua persona. Una strana ambivalenza tra matura complessità e spirito infantile che pervade tutta la sua musica e si riflette anche nel modo di affrontare la vita vera:
“Sto imparando a vivere cercando di mantenere i piedi per terra e la testa fra le nuvole, penso che guardare il mondo con gli occhi di un adulto sia importante perché ti permette di guardare la vera realtà dei fatti, senza bisogno di mistificazioni. Allo stesso tempo è importante restare un po’ bambini perché esserlo ti aiuta ad immaginare una realtà diversa da quella che è. E l’immaginazione è proprio il primo passo che ti porta verso il cambiamento…si sa: i bambini sono complessi.