Saturday, April 23, 2005

Low… Forever Changes

C’è un momento, nelle gare di ciclismo, in cui l’atleta si alza sui pedali, getta al vento il cappellino, si apre la giacca della tuta e “scatta”.
Non esiste un motivo vero e proprio per liberarsi di quegli ammennicoli.
Di certo non è un trucco per evitare il caldo. E neanche per essere più leggeri in vista della salita da affrontare. Quanto crediate possa pesare un cappellino?
Niente. Non pesa niente.
E’ ben altro: in quel piccolo gesto c’è tutta la consacrazione del rito di chi decide di affrontare la fatica e di rischiare. Scambiare il passo lento e sicuro con un altro più incerto e pericoloso.
“The Great Destroyer” (Rough Trade/Spin-go), ultimo album dei Low è l’esatta trasposizione in musica di quel gesto. Uno scatto in piedi verso il cambiamento.

Zack Sally (bassista della band di Duluth) risponde alle nostre domande mentre, in macchina, è tutto preso ad affrontare una tempesta di neve che proprio in quelle ore stava tenendo in scacco Minneapolis.
Dopo un tentativo non andato a buon fine, decide di fermarsi.
Meglio così, non avremmo mai voluto avercelo sulla coscienza.

“Ecco, ora forse ci riusciamo (ride, ndi). Ti chiedo scusa anche per la scorsa settimana, non ho proprio sentito la tua chiamata: sta diventando un’odissea, questa intervista.”

Già, un’odissea.

La prima parola che viene in mente, ascoltando “The Great Destroyer”, è “cambiamento”. La sensazione però è che non sia tutto qui. Sbaglio?
“Hai ragione, è molto più complicato di così, ma è anche giusto. Noi non ci siamo messi a tavolino pensando di cambiare il nostro suono. In ogni nostro disco, a parer mio, ci sono stati dei piccoli cambiamenti rispetto al precedente. Con quest’ultimo lavoro si sono semplicemente fatti più evidenti. E quella che per noi è stata una mutazione lenta, al pubblico sembrerà senz’altro più repentina.”


E’ risaputo il vostro amore per la letteratura americana in genere ed in particolare per i racconti di Carver. Ascoltando in sequenza tutti i vostri dischi, si ha come l’impressione di sfogliare capitoli diversi dello stesso romanzo. Qual è il modo migliore per farsi catturare da queste vostre “nuove storie”?
Oh, grazie! E’ bellissima questa cosa che hai detto. Io sono anche un fumettista, e proprio oggi è uscito il primo libro della piccola casa editrice che ho messo su. Sto tornando proprio ora dalla presentazione e non t’immagini nemmeno quanto mi ballano le gambe.
Comunque: la cosa bella di quando leggi un romanzo è che non sai mai cosa possa succedere nella pagina seguente. Figuriamoci al capitolo dopo. La stessa cosa succede mentre lo scrivi: tu inizi a buttare giù l’incipit e non sai quello che verrà dopo, però sai che si arriverà ad un punto che nella tua testa è quello che tu avevi pensato fosse la fine. Noi non abbiamo mai pensato seriamente a questa cosa, ma ci siamo accorti che è così. Con ‘The Great Destroyer’ si chiude un romanzo di otto capitoli iniziato poco meno di dieci anni fa. All’interno di una storia capita che ci siano passi più lievi ed altri più arrabbiati. Questo è il nostro capitolo aggressivo, forse perché è stato in un periodo non proprio come si deve. Sono sicuro che con i prossimi dischi inizieremo il nuovo romanzo dei Low, anzi: con il prossimo. Quello sarà qualcosa di veramente differente rispetto a tutto quanto fatto fin ora.”

Sinceramente pensavo che il triplo CD/DVD antologico uscito la scorsa estate (“A Lifetime of Temporary Relief”), fosse questo famoso “punto” del precedente romanzo. Mentre consideravo “The Great Destroyer” già il primo passo verso nuovi approdi.
“Uhm… guarda, non è così. Abbiamo fatto uscire il box perché…ehm…eravamo un po’ in ritardo con in nuovo album (scoppia a ridere ndi). Cioè, ovviamente scherzo, però ti posso dire che mentre finivamo di fare “Trust”, il disco precedente, già sapevamo come avremmo voluto suonasse il prossimo. E infatti questo nuovo disco suona esattamente come avevamo progettato allora.
La cosa veramente eccitante quando si scrive musica, o meglio, la cosa veramente eccitante che avviene quando si scrive musica con i Low, è il fatto che non puoi veramente pianificare dove ti porterà la tua creatività, ma puoi provare a gestirla per raggiungere quella che è la tua idea di futuro, nel modo che tu ritieni giusto.”

La cosa più sorprendente di questo vostro nuovo disco è l’apertura verso un tipo di scrittura più diretta ed accessibile. Viene quasi spontaneo usare la parola “pop”. Penso soprattutto a canzoni come California, Step e Everybody’s Song. In un certo senso è come se voi, dopo aver esplorato tutti gli aspetti della staticità, aveste cominciato improvvisamente a muovervi e ad andare veloce.
“Sicuramente questo è l’album più accessibile che abbiamo mai fatto, ma allo stesso tempo è anche il più difficile. Lo so che detto così non vuol dire nulla e che può sembrare strano. Io penso che questo disco sia molto più emotivamente complesso dei nostri altri e non riesco a capire dove inizia e dove finisce l’accessibilità nella musica. Noi con gli anni abbiamo imparato a fare del nostro meglio, lasciandoci trasportare dalle nostre emozioni, senza avere paura di quello che potrebbe succedere. Questa è la vera scoperta che abbiamo fatto.”
Sentendoti parlare così mi viene quasi da pensare che “The Great Destroyer” sia per voi quello che “OK Computer” è stato per i Radiohead.
“Oh cavolo! Quello sì che è un bel disco. Se pensi che “The Great Destroyer” riesca ad avvicinarcisi, anche soltanto un po’, credo proprio che ti ringrazierò per tutto il resto della telefonata (ride, ndi).”
Pensavo a quello che dicevi tu ed al fatto che queste canzoni riescano ad arrivare dirette al cuore e al bersaglio, senza perdersi per niente in facilonerie. Quando le ascolto provo le stesse cose che provo mentre ascolto, per dirne una No Surprises e…
“… è veramente bello quello che mi dici. La cosa strana è che mentre registravamo e lavoravamo a questo disco, ci sentivamo veramente soddisfatti e contenti per quello che stavamo facendo. Non c’era mai successo prima ed allo stesso tempo eravamo curiosi di sapere se alla gente potesse piacere almeno un briciolo di quanto stava piacendo a noi. Siamo veramente felici.”

La produzione di Dave Fridmann ha sicuramente svolto un ruolo molto importante.
“Conosciamo Dave da tanti anni. Abbiamo un sacco di amici che hanno suonato con lui e poi amiamo alla follia alcuni dei dischi su cui ha lavorato. Oltretutto è anche una persona molto piacevole e abbiamo sempre pensato che prima o poi avremmo fatto qualcosa insieme.
Abbiamo registrato parecchi pezzi di “The Great Destroyer” in casa, e quando si trattava di decidere chi chiamare per dare a questi pezzi una direzione comune, lui è il primo che ci è venuto in mente. Ha veramente un bel modo di lavorare e, in meno di una settimana, è riuscito a capire perfettamente cosa significa la musica dei Low. E’ subito entrato nello spirito giusto: ci spingeva a provare soluzioni nuove, a tirare fuori il meglio da queste canzoni. E’ stato bravissimo. Nessuno è riuscito ad influenzarci come Dave nel breve tempo che ha passato con noi.”

Per voi confrontarvi con un produttore è praticamente la norma, in questi anni avete lavorato con tantissima gente.
“Sì, abbiamo lavorato con un sacco di gente e anche se con ognuno è diverso, devo dire che siamo sempre stati fortunati. Non abbiamo mai voluto lavorare con gente che ci dicesse cosa fare delle nostre canzoni: ‘Qui ci metterei questo, qui quest’altro…’. Non ci interessa, e credo anche che non si possa lavorare bene con gente così. Quello che noi abbiamo sempre cercato, come ti dicevo prima, è una persona in grado di capire il nostro spirito. Per noi è importantissimo avere qualcuno di esterno alla band che agisca con noi sulla nostra musica. Però deve essere qualcuno di cui ci fidiamo e che condivide il nostro approccio. Altrimenti è inutile.”

Voi siete sempre stati aperti a collaborare con altre band, ad esempio il disco che avete fatto con i Dirty Three per la collana In The Fishtank. Avete in mente qualcosa del genere nel vostro immediato futuro?
“E’ molto difficile. Ci piacerebbe ma è difficile: ora abbiamo un nuovo album fuori e vogliamo portarlo in giro e farlo conoscere il più possibile. In più Alan ha il suo side project (Black-Eyed Snakes, ndi) e la sua piccola etichetta. Io ho la mia casa editrice e i fumetti. Siamo persone impegnate, per cui è meglio se ora ci concentriamo solo sui Low. Stiamo per partire per un lunghissimo tour.”
Beh, penso che questo disco sia perfetto per essere suonato dal vivo. Immagino voi siate eccitati e ansiosi di salire sul palco. Sbaglio?
“No, non sbagli. Anche io la penso così. Non vedo l’ora di suonare queste canzoni. Quando eravamo in studio, già pensavo a come le avremmo interpretate dal vivo. Durante i nostri vecchi tour, arrivavamo alle ultime date che i pezzi suonavano molto più rock e veloci. Sono curioso di capire cosa succederà adesso.”
Ho sempre pensato ai Low come ad una band da “cameretta”. Poi vi ho visti suonare in un posto enorme, con i Radiohead, ed era perfetto lo stesso. Quale pensi che sia il posto migliore dove ascoltare la vostra musica?
“Il tour con i Radiohead ci ha aiutato non poco in quel senso. Loro sono grandi ed hanno un pubblico molto gentile, per cui il salto è stato più facile di quello che noi immaginavamo.
Ora sappiamo che possiamo suonare di fronte a migliaia di persone come di fronte a cinquanta persone puzzolenti. Per noi è lo stesso, ma ogni volta che sul palco c’è l’energia giusta e siamo consapevoli di quello che stiamo facendo…beh, penso sia un’esperienza veramente esaltante. Per noi come per chi ci ascolta.”

Ora (negli Stati Uniti) siete una band Sub Pop. Cosa si prova ad uscire per un etichetta così storica? C’è qualche altra band che vi piace, tra quelle del roster?
“Essere arrivati alla Sub Pop è un traguardo importante per noi e anche per loro che ci hanno voluto ed inseguito negli anni…
E non c’è nessuna band che…
“Oh no, ci sono band grandiose che incidono per Sub Pop, ma… vedi: il fatto è che io non lo so perché io ascolto solo heavy metal!”
Cosa? Non ci posso credere!
“Giuro. Non sto scherzando.”
Avevo letto nella vostra biografia che “The Great Destroyer” era anche il titolo di un disco dei Cruelty Divine, ma sinceramente non avrei mai pensato che ci possa essere qualcosa in comune tra i Low e… ehm… dei metallari.
“Oh sì non ho mai ascoltato quella band e quando abbiamo scoperto che avevano già usato quel titolo siamo stati presi dallo sconforto. Era perfetto. Grazie a Dio non abbiamo dovuto cambiarlo. Comunque a me piacciono da morire gli Isis, non so se li conosci, e poi c’è questo disco dei Metallica, l’ultimo che secondo me è veramente bello. Intenso come pochi altri.”
Zack, io odio i Metallica. Scusami.
“Davvero? Ma hai visto il film? Credo si chiami ‘Some Kind Of Monster’. E’ bellissimo, emozionante e duro. Ti fa capire cosa c’è di vero dietro al lavoro per un disco. Guardalo e scommetto quello che vuoi che rivaluterai ‘St. Anger’. Fammi sapere.”

Niente altro da aggiungere: si può suonare la musica più delicata e dolce del mondo ed allo stesso tempo avere tatuato nell’anima un tetro chiodo di pelle nera.
E scattare sui pedali mentre s’indossa un chiodo è una cosa che riesce solo ai veri campioni.
E ai Low.