Saturday, April 23, 2005

Le parole che non ti ho detto (perché tanto non le capisci)

Probabilmente sarebbe più facile se davvero venissimo da due pianeti diversi. Se la comunicazione fosse possibile solo previa installazione del Pesce Babele inventato da Douglas Adams per mandare Ford Prefect in giro per la galassia senza incappare in barriere linguistiche di sorta. Marziani e venusiane, come sostiene John Gray nel molto letto e altrettanto vituperato Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere. Pianeti diversi, sistemi linguistici diversi, incomunicabilità certificata e pertanto gestibile.

Probabilmente sarebbe più facile, sì.

Invece va più o meno così: ci si incontra, ci si parla, ed è tutto chiaro almeno fino a “ciao, come va?” e a volte già lì è tragedia, a seconda del contesto e dello stato di avanzamento, solidità o decomposizione del rapporto. Figurarsi quando la conversazione verte sui grandi concetti della vita.


1. Concetto di tempo

È tanto che aspetti?


“Ehi, dove sei?”
“Sono a casa, sto uscendo adesso”.
“Come, ‘a casa”? Come ‘adesso’? Dovevamo vederci fra dieci minuti!”
“Appunto: fra dieci minuti sono lì, non ti preoccupare.”
“Mi preoccupo, invece ed anche tanto: fra dieci minuti tu sarai alla fermata ad aspettare un autobus che non passa. E tutto per questo tuo improvviso impeto ecologista: la macchina non si può prendere perché inquina, però butti per terra qualsiasi cartaccia possibile e...”
“Buttare la carta per terra fa molto paese europeo…”
“Certo, ed anche lasciarmi da sola ad aspettare a due gradi sotto zero e diversi esponenti della mafia cinese che mi girano intorno, fa molto paese europeo? Che poi, da che mondo e mondo, sono io che devo arrivare in ritardo e tu che devi stare lì ad aspettarmi, lo dicono le Regole”.
“… mafia cinese?”

Non ti preoccupare, abbiamo tempo

“A che ora dobbiamo essere a casa di Claudio?”
“Tranquilla, gli ho detto che saremmo stati lì per le otto e mezza.”
“Otto e mezza? Ma sono le otto ed è dall’altra parte della città! Ma non potevi dirlo prima, così potevo prepararmi?”.
“Vabbè, dai, hai tutto il tempo che vuoi. Quanto ti serve: cinque minuti, dieci?”
“Certo: in cinque minuti mi lavo i capelli, li asciugo, li pettino, poi mi trucco, mi vesto e nel frattempo preparo anche un aperitivo. Lo fai tu uno squillo a quelli del Guinness dei Primati? Sai, se devo stabilire un record, come minimo, vorrei farlo omologare.”

Prepariamoci un po’ Prima

“A che ora hai detto che parte il treno?”
“Alle 15 e 50, però vorrei andarci un po’ prima:”
“Ok. Che dici se usciamo di qui per le tre?”
“Dico che arriviamo in stazione dieci minuti prima del treno e che non è esattamente quello che intendevo quando ti ho detto che volevo arrivarci per tempo.”
“Ma dieci minuti sono un’eternità! Cosa devi fare in stazione: guardare i treni partire, giocare a tressette con il capotreno, ballare la rumba con il controllore?”
“Diciamo che se non sapessi che poi sarei costretta ad accompagnarti al pronto soccorso, ed accumulare altro ritardo, ti avrei già dato un cazzotto sul naso”.

Il cuore non ha età

“Dov’è la mia borsetta di Hello Kitty? Quella in denim, azzurra… non la trovo più.”
“È qui, ma… non sei un po’ grande per certe cose? La borsa di Hello Kitty la portano le quindicenni e dentro ci tengono l’agenda di Pucca. Non dico che dovresti comprarti un tailleur, ma insomma, un po’ di serietà.”
“… Mmm… hai ragione, sai? A proposito: sono passata in edicola a ritirare Micromega. Il giornalaio ti manda a dire che ti ha tenuto da parte l’album delle figurine del Wrestling, ma per la maschera di Hulk Hogan devi aspettare ancora un po’.”


2. Concetto di ordine

Chi cerca trova


“Dov’è la mia maglietta? Quella nera con la scritta “Nobody Knows I’m a Lesbian”, l’hai vista?”
“Non lo so. Prima era sul divano. Adesso l’ho persa di vista, in compenso ho ritrovato i pantaloni che cercavi ieri. Fai da solo o chiamo la protezione civile?”
“Spiritosa. Non trovo neanche il cellulare, guardi tu se è sulla scrivania mentre io cerco la maglietta?”
“Potresti darmi un’indicazione meno vaga di ‘sulla scrivania’? La tua scrivania è dispersa da circa tre mesi, credo sia sotto la pila di libri CD giornali tazze cartoni della pizza… va bene, va bene, non mi fare lo sguardo di Evilenko, te lo faccio squillare. Eccolo lì.”
“Grazie. Ah, senti, non è che avresti visto i miei occhiali?”

3. Concetto di ammòre

Non sono una Fidanzata


“Senti: non sarebbe ora di tagliarti quei capelli?”
“Tatatatà! L’hai fatto di nuovo, lo sapevo!”
“Cosa? Che è ‘tatatatà’, che ho fatto?”
“La Fidanzata, hai fatto la Fidanzata. Quella con la F maiuscola e tutti gli annessi e connessi sul come ti devi vestire, quello che è meglio fare, gli impegni da prendere. Insomma: hai fatto la Fidanzata.”
“Non è vero: la Fidanzata non si metterebbe mai delle scarpe come le mie e non ti stirerebbe le magliette dei gruppi indierock. La Fidanzata le magliette le butta e poi ti compra una polo. La Fidanzata, se cambi canale per vedere i goal di Frosinone – Latina ti tiene il muso per una settimana e il sesso te lo puoi pure scordare. E te lo scordi anche tu, se non ti rimangi quello che hai detto”.
“Ehm… OK… diciamo che lo sei ‘tra virgolette’. Va bene?”
“No. E tagliati quei capelli.”

Lo famo strano

"Dove sono le mie mutande?""E che ne so, le hai lanciate quando sei saltato sul letto cantando la canzone di Sandokan!""Oddio, davvero? E quando l'ho fatto?”"Giusto un attimo prima di tentare di legarmi con le calze al lampadario. Per la prossima volta che devo fare: si fa all'antica o chiamo il pronto soccorso e chiedo se ci parcheggiano un'ambulanza sotto casa? Magari può servire.”
“Già che ci sei… chiedi se ti regalano un completo da infermiera?”


E’l’amico è


“Oh, dov’eri? Sono due ore che ti chiamo.”
“Scusa, avevo il cellulare scarico. Ho incontrato Andrea e siamo andati a bere un caffè, era un po’ che non ci si vedeva, sai, col fatto che è stato in Australia, poi in Afghanistan sei mesi come volontario per Emergency, e adesso riparte per andare in Perù ad insegnare matematica ai bambini degli indios.”
“… Andrea chi è?”
“Un mio amico.”
“Amico come?”
“A… aaaamico! Amico! Amico, lo conosco da un po’ di tempo.”
“Ma amico tipo che lo conosci bene o amico tipo che lo conosci poco?”
“Mah, boh, lo conosco! Frequentavamo gli stessi posti qualche anno fa.”
“Ed è un fico, scommetto.”
“Non l’ho mai considerato in quel senso…”
“Ma è fico?”
“Ma no, ma sì, ma boh, che ne so?”
“È sicuramente fico, e poi se ne va in giro per il mondo a fare il volontario, e magari ha anche il bicipite turgido e tatuato e la moto e oggi ti invita a prendere un caffè, domani un panino, poi un bicchiere di vino all’enoteca, e poi lo riaccompagni a casa perché piove e lui ti chiede di salire a vedere la sua collezione di maschere funerarie del Chapas e io lo so come vanno queste cose ti stufi di me e mi lasci, ecco.”

Carina, quella


“Carina, la nuova ragazza di Matteo.”
“Cos'è, una battuta?”
“No, dico sul serio, la trovo carina.”
“Ma daaaai! A me non piace proprio.”
“Lo dici solo per fare quello che non guarda le altre?”
“E chi ha detto che non guardo le altre? Però questa proprio non mi piace. È bassa e ha il muso di un pechinese ipnotizzato.”
“Come sarebbe che guardi le altre?”
“È che voi donne avete questa idea ecumenica della bellezza... per voi, se vi sta simpatica, è carina. Se è gentile con voi, è carina. Ma soprattutto, se è chiaramente una racchia e voi vi sentite magnanime, è un 'tipo'.”
“Come sarebbe che guardi le altre?”
“Siete capaci di far passare per 'carina' chiunque, anche le cozze più inguardabili. E quando una è veramente carina, ma magari un po' ritoccata, ma carina, giù a dirle che è tutta rifatta, e che quelle rifatte non sanno di niente e sono tutte uguali.”
“...”
“Cos'è questo silenzio?”
“Come sarebbe che guardi le altre?”

4.Concetto di “Ti Presento i Miei”

No, mio padre non è il mostro di Dusseldorf


“Ma siamo sicuri che tuo padre non mi mena appena mi vede?”
“Sì, stai tranquillo.”
“Ma non è che appena scopre che, insomma, noi… dai hai capito… non è che si offende?”
“Eccerto: mio padre crede che io sia Santa Maria Goretti e dieci anni fa sono andata a vivere da sola per consacrare la mia vita a Dio. Ma smettila. Non preoccuparti.”
“E come faccio a non preoccuparmi? Io lo so come sono i padri: al pensiero che non possono più farti fare ‘vola vola’ impallidiscono...”
“... peso sessantaquattro chili, mio padre non rischierebbe un'ernia.”
“...figuriamoci se porti a casa un fidanzato. Ad un papà i fidanzati della figlia non piaceranno mai, ci sarà sempre qualcosa che non andrà bene. Una volta sarà l’orecchino, la volta dopo una dichiarazione dei redditi non dignitosa, quella dopo ancora sarà tutta colpa dello strabismo e dell’alluce valgo. Lo so, è triste, ma è matematico: ad un padre non può piacere il fidanzato della figlia. È scritto nelle stelle”
“…”
“Che fai?”
“Torno indietro”.

Quando ti ho detto di essere te stesso non intendevo rutta rumorosamente e pulisciti la bocca sulla tovaglia

“OK, male non è andata, però potevi evitare almeno oggi di metterti la maglietta con i buchi.”
“E perché? Volevi che mi presentassi per quello che sono ed io sono così: con la maglietta piena di buchi ed i pantaloni sdruciti. Cosa ci posso fare se mi affeziono ai vestiti e non riesco a liberarmene?”
“Niente. E’ che non è solo quello…”
“… spiegati meglio. Cosa ho fatto che non va?”
“Niente, non hai fatto niente di male. Solo che quando ti ho chiesto di comportarti come fai tutti i giorni non intendevo: ‘Mettimi le mani sotto la maglietta mentre parlo con mia madre’ e neanche di inveire contro Maria De Filippi lanciando molliche di pane al televisore.”
“... oddio.”
“...”
“... dici che se la prossima volta mi presento vestito bene, rimedio?”
“... dico che se la prossima volta è fra un paio d'anni, è meglio.”

Sii gentile con i miei

“Buonissimo, il pasticcio di tua madre.”
“... sì... lo so. E lo sa anche lei.”
“Cosa intendi dire?”
“Che glielo hai ripetuto a intervalli regolari di trenta secondi per tutta la durata della cena.”
“Eh, era buono... e poi insomma, mi avevi raccomandato di essere gentile.”
“Oooh, lo sei stato senza dubbio: prima ti è piaciuto il pasticcio, poi ti è piaciuta la camicia di mio padre, tre volte. Poi ti sono piaciute le scarpe di mia sorella, fortunatamente solo due volte. Poi ti sono piaciuti il salotto, quattro volte, la cucina, tre o cinque non ricordo, e sui bagni ho perso il conto.”
“Ma cosa c'è di male?”
“Niente. Magari però potevi evitare di baciare l'anello a mia nonna. Quello mi è sembrato eccessivo, sì.”


Concetto di Banana (conclusione)

“Ma, alla fine, perché stiamo insieme?”
“Come perché? Ci sono un sacco di motivi…”
“E quali? Il fatto che io ho il poster di Poncharello appeso sul letto? La verità è che dico bianco e tu capisci nero, tu vedi verde ed io vedo rosso. Viviamo su due pianeti diversi e per nulla vicini: se tu sei Plutone, io sono il Sole e il motivo per cui noi ci si sopporta e ci si ama nonostante tutto, sta su un pianeta che nessuno scienziato ha avuto il coraggio di scoprire, e poi…”
“…poi non serve che continui. Io so che non è importante capirsi. O meglio: non è solo quello che conta. Contano gli sguardi, le cose dette senza bisogno di aprire bocca, lo stomaco che brucia quando ti passo vicino ed il senso di vuoto che senti quando mi allontano. Sono queste le cose che ci legano e se non le capiamo neanche noi è solo perché queste cose non si capiscono, si vivono. Come il poster di Poncharello che hai appeso sul letto. Non lo capisco, ma so che mi piace.”
“Quando dici queste cose mi viene sempre voglia di abbracciarti, e…”
“… hai per caso visto i miei occhiali?”
“…uff.”


(Emiliano Colasanti + Giulia Blasi)