Saturday, April 23, 2005

American Music Club e R.E.M. – Once Were Warriors

Se siete abituati a tenere abitualmente in mano questa rivista, probabilmente converrete con noi che il duemilaquattro passerà agli annali come quello dei grandi ritorni.
Mentre quelli “giusti e alla moda” celebrano la reunion dei panzuti Duran Duran come se fosse un evento veramente degno d’interesse, sono in pochi quelli che si sono accorti del ritorno in pista degli American Music Club. Una delle più sorprendenti band dell’indie americano, che a dieci anni di distanza dall’ultima uscita regala un album fresco ed allo stesso tempo avvolgente nelle sue ballate dense e senza tempo. Più o meno lo stesso tipo di discorso avviiato dai R.E.M. con l’ultimo “Around The Sun”.
Un gruppo che non se n’è mai andato per davvero; ma che ora è tornato a far sentire forte la sua voce con un disco fortemente influenzato da temi politici e sociali.
Li abbiamo incontrati, e questo è quello che ci hanno raccontato.


American Music Club: Canzoni d’Amore Per Patrioti

“...è che sono un bugiardo!”

La voce e le risate di Mark Eitzel risuonano all’altro capo del telefono.
Il nostro eroe è in Italia per impegni promozionali legati all’uscita di “Love Songs For Patriots”, il primo disco del “Club Americano della Musica” da un bel po' di anni a questa parte. Eitzel è ansioso di spiegare il perché ed il percome di questo ritorno in pista e noi lo lasciamo fare:
“Lo so: avevo detto che non avrei mai più lavorato con la band ma è andata così: ero a Chicago e stavo lavorando ad un disco solista. Avevo già scritto sette canzoni che mi piacevano molto. Per registrarle avevo chiamato alcuni dei miei compagni American Music Club ed alla fine abbiamo pensato che erano pezzi troppo buoni per un mio disco da solo (ride, ndi), così abbiamo trasformato il tutto nel nuovo disco della band, e quello che è accaduto dopo dovresti saperlo anche tu, dato che hai ascoltato il disco.”

L’estate musicale di quest’anno è stata veramente “strana”. Se guardi le uscite dei dischi, i tour più riusciti, si fa sempre riferimento a band come Pixies, R.E.M., Morrissey ed ora voi American Music Club…proprio come nel millenovecentoottantotto!
“Hehehe…in effetti fa sorridere, ma non so perché sia successo questo, forse lo sai tu, forse lo sa qualcun altro…ma io no! (Ride di nuovo, ndi)”

È diverso per te scrivere canzoni pensando che siano destinate ad un tuo “solo album” oppure ad uno del gruppo? Hai lo stesso tipo di approccio alla composizione oppure lavori in maniera diversa a seconda delle situazioni?
“È diverso, eccome se è diverso. Quando scrivo da solo io sono l’unico giudice delle canzoni e dato che le scrivo io finisce sempre che mi guardo allo specchio e dico: 'Mark, hai fatto un buon lavoro', oppure: 'Non ho fatto un buon lavoro ma chi se ne frega…va bene lo stesso!'.
Quando lavoro con la band invece è tutta un’altra cosa: è come prendere le mie canzoni e farle ascoltare per la prima volta al pubblico. Loro sono il mio pubblico: io arrivo lì convinto di aver fatto un capolavoro, gli altri mi guardano e: 'Mark, forse non è venuta un gran che bene…magari se ci lavoriamo un po’ su e…'. Sono molto contento di questo approccio: gli altri 'fratelli' hanno il giusto distacco per capire se un pezzo è buono o meno e questo spinge me stesso a migliorare come autore per proporre sempre canzoni all’altezza del loro gusto.

Tu sei sempre stato identificato come una sorta di cantastorie. Le cose che scrivi e che racconti riescono sempre ad entrare nell’intimità di una persona e farla a pezzi, riesci alla perfezione a descrivere sentimenti e stati d’animo, anche quando non parli di te in prima persona.
L’unica cosa che non sembrava toccarti minimamente sono le tematiche politiche e sociali. Come facevi ad essere così impermeabile agli eventi che ti arrivano dall’esterno, dal mondo in cui vivi?E perché nel nuovo album hai invece deciso di cambiare direzione?

“In realtà il fatto è che a me piace scrivere delle “cose che mi succedono quando succedono”.
Prendi per esempio Myopic Books: quello che racconto è proprio quello che è accaduto: ero in giro a piedi, faceva freddo ed ero solo, sono entrato in una libreria (Myopic Books appunto) ed i commessi stavano ascoltando i Dinosaur Jr. Questo mi ha fatto stare bene ed ho voluto raccontarlo.
Io sono affascinato dalla verità, anche nelle canzoni. Non mi piace dire bugie e cercare di raccontare cose che non conosco e che non mi toccano. Io parlo sempre di cose che sento mie e che conosco bene, sia che si tratti di storie d’amore, di viaggi o di politica. L’importante è che siano reali, ci sono già tanti altri che dicono bugie.

Un’altra cosa che ritorna spesso nei tuoi brani sono i luoghi in cui vivi e ti muovi. Penso a San Francisco, Portland, Londra…

“Il fatto è che viaggio un bel po’! A parte gli scherzi, mi piace parlare dei posti in cui vivo e di quelli in cui capito per motivi di lavoro o di diletto. Mi piace raccontare le persone che vivono in certi posti e come vivono. Il posto in cui nasciamo, cresciamo ed abitiamo influenza la nostra vita in tutto e per tutto: un californiano vive i sentimenti in maniera diversa rispetto ad un europeo ma anche rispetto ad uno di Seattle. Questa cosa è bellissima e mi affascina un casino… e comunque: io davvero viaggio un bel po’…troppo! (Mark scoppia in una risata fragorosa, ndi)

Questo disco esce a parecchi anni di distanza dall’ultimo American Music Club. Come lo vedi in rapporto con il resto della vostra discografia passata?

“Diversissimo! Questa volta siamo stati attenti agli arrangiamenti ed abbiamo sviluppato i brani in maniera differente rispetto al solito. Abbiamo curato ogni dettaglio e credo che quello che sia venuto fuori sia un disco molto vario, soprattutto rispetto ai nostri vecchi album. Sai che c’è: in molti mi chiedono cosa penso del modo in cui la gente accoglierà 'Love Songs For Patriots', ma io davvero non lo so. Anzi, non me ne frega niente. Sono contento di come è venuto e questo mi basta e mi avanza”.

E della reazione della critica che mi dici, neanche di quella t’interessa niente?

“Non lo so, man. Però mi hanno detto che il nome del tuo magazine è LosingToday e questo mi piace molto. Mi ricorda quei giornali che vanno forte in America che credono di poterti spiegare come affrontare la vita. Ovviamente dicono solo cazzate. Ma LosingToday mi piace davvero tanto come nome…penso di essere perfetto per un giornale così. Per esempio oggi ho fatto un po’ di foto per Giorgio Armani e poi sono andato a mangiare nel migliore ristorante giapponese di milano e…che dici: si capisce che sto scherzando?”

Quando gli American Music Club facevano dischi il modo di fruire la musica era totalmente diverso e…

“Io penso sia molto meglio adesso. Per esempio io sono un grande fan di Itunes, ho un Ipod pieno di roba interessante da ascoltare e penso che questa sia un invenzione grandiosa. Ma Internet è importante anche per un sacco di altri motivi. Prendi le radio: negli States le radio che passano musica come quella che piace a noi praticamente non esistono più. In ogni stazione c’è la stessa musica, uguale dappertutto. Ascoltare la radio su Internet è grandioso, si scoprono un sacco di cose interessanti. Io per esempio vado pazzo per quelle che mandano solo musica elettronica, ce ne sono alcune grandiose.

Ecco: la musica elettronica mi sembra un’influenza molto importante nel tuo percorso da solista, invece in questo disco…
“Non preoccuparti. Tornerò presto a fare “dischi strani di musica elettronica strana”. In realtà sono già al lavoro su un disco che va in quella direzione, anche se parto sempre dal lavorare con strumenti analogici e poi finisco per sporcare tutto con le macchine. Ma devo dire che al momento la cosa che mi piace di più è proprio scrivere canzoni che siano belle e basta. Per usare bene il computer devi studiare, io ho dovuto farlo per capire come far funzionare bene programmi come Pro-Tools, Reason e Recycle. Ora non voglio più imparare. Voglio solo scrivere canzoni.
È un momento in cui mi sento molto ispirato da quello che faccio e dalle cose che mi piacciono.
Per esempio Greg Dulli. Lui è uno che ho sempre stimato tantissimo e l’ultimo disco dei Twilight Singers mi ha colpito un casino. A proposito: l’altra sera mentre guidavo da Portland a Seattle ho sentito in radio una canzone che mi piaceva un sacco. Ripeteva sempre: “On my knees, On my knees, there’s a power on my knees…”, mica sai per caso di chi è?






R.E.M.: The Truth Around The Sun


Ti accorgi che gli anni passano per tutti quando per la prima volta ti ritrovi di fronte ai R.E.M.
Talmente vicino da poter vedere i segni che incominciano ad apparire sul volto di Michael Stipe, Peter Buck e Mike Mills. Talmente vicino da poterti fermare un attimo e pensare che questi qui sono i tuoi idoli, quelli di cui avevi le foto appese in cameretta e magari ce le hai ancora.
Ti fermi un attimo, ci pensi ed uno strano sorriso ti appare sul volto, ma non c’è tempo:
c’è un disco nuovo da raccontare e tu sei qui per questo…

C’è un disco nuovo, e si chiama “Around The Sun”. E nonostante tra il loro debutto e questo nuovo lavoro ci siano più di vent'anni e una discografia ormai consegnata alla leggenda, i Tre Moschettieri di Athens (laddove Peter Buck sarebbe Porthos) sono ancora qui a parlare del loro disco, a spiegare le loro scelte. E noi, in silenzio, li lasciamo parlare.

“Quella del titolo è una questione che interessa più alla gente che a noi. Molto spesso è capitato di non avere un titolo fino a qualche settimana prima dell’uscita dell’album, altre volte invece sapevamo come avremmo chiamato il tutto prima ancora di registrarlo, per esempio 'Life’s Rich Pageant'. Una tradizione di questo gruppo vuole comunque che scegliamo i titoli dei pezzi alla fine del lavoro, dopo il mixaggio e tutto il resto. C’era questo brano scritto da Michael che parlava del mondo come un gruppo di persone sedute intorno al sole, 'Around The Sun', appunto, ed abbiamo deciso che sarebbe stato un titolo buono per l’intero disco.” (Mike Mills)

“Noi siamo una rock band e ci piace suonare rock, con tutti gli annessi e connessi che questa parola rappresenta nel duemilaquattro. Ma un album è una cosa diversa, almeno per me. Un album è la fotografia di un momento, e deve rappresentare in tutto e per tutto cosa ti passa per la testa nel periodo in cui lo scrivi e lo registri. Deve essere una cosa a sé, tutti i miei dischi preferiti lo sono.” (Michael Stipe)

“La scorsa estate siamo stati in tour e quando siamo tornati in studio pensavamo di fare un album più diretto e simile alle nostre esibizioni dal vivo. Alla fine ci siamo ritrovati con tantissime canzoni, una diversa dall’altra: c’erano dei brani acustici, dei brani più rock ed altri più pop. Quando si è trattato di scegliere abbiamo deciso di privilegiare quelli che andavano in una direzione piuttosto che in un'altra. È’ venuto fuori un disco omogeneo, e questo non mi dispiace. La maggior parte dei dischi che amo sono compatti e quando li metto sul piatto sembra di essere catapultatati all’interno di un viaggio. 'Astral Weeks' di Van Morrison è così.
Un disco che ho suonato fino alla nausea.” (Peter Buck)

Negli ultimi due album avevamo utilizzato molti loop e cose del genere, questa volta invece volevamo lasciare un sacco di spazi vuoti, far sentire “la bellezza del silenzio”. Io sono un bassista e la prima qualità che devi avere per essere un buon bassista è quella di tirare fuori bei riff ma anche quella di saper riempire i momenti in cui non suoni. Quello che cerchiamo di fare noi come gruppo è esplorare la bellezza del suono, creare un suono che emozioni e che catturi l’ascoltatore. Come succede a me quando ascolto 'Pet Sounds'.” (Mike Mills)

“Avevamo più di cinquanta canzoni pronte e credo che molto presto cercheremo di farle uscire. Abbiamo intenzione di lavorare al disco rock che sarebbe dovuto essere 'Around The Sun' durante il prossimo tour. Provare i pezzi nei soundcheck, registrarli alla buona… cose così insomma. Vogliamo recuperare un po’ d’immediatezza.” (Peter Buck)

“Penso che i nostri dischi abbiano sempre bisogno di più di un ascolto per essere assimilati. È un po’ come quando senti un disco dei Coldplay. Loro fanno canzoni complicate ma lo stesso riesci subito a capire benissimo quali corde vogliono toccare e cosa vogliono dire, mentre con i Radiohead è diverso: devi entrare dentro il loro mondo e per farlo ci vogliono almeno sette/otto ascolti. Noi siamo nel mezzo.” (Michael Stipe)

“I testi di Michael questa volta parlano quasi tutti della difficoltà di vivere in America in questo momento. Ci sono canzoni molto dure come I Want To Be Wrong e Final Straw ed altre quasi ottimiste. Per esempio Around The Sun è così, una delle più ‘sorridenti’ della nostra intera carriera, anche troppo. Tendenzialmente Michael è portato all’ottimismo molto più di me. Comunque non penso a noi come ad una band politica, o meglio: lo siamo sempre stati ma in una maniera diversa da come intendono tutti. Anche dischi come 'Murmur' e 'Fables' lo erano, ma senza volerlo essere esplicitamente.”(Peter Buck)

“Un errore che la gente fa spesso quando cerca d’interpretare i miei testi è pensare che siano scritti in prima persona, che in qualche modo siano autobiografici. Non lo è mai stato, ogni volta che scrivo qualcosa non lo faccio per raccontare il mio punto di vista, non sono Michael che canta cosa pensa, cerco di entrare nella vita degli altri e di prenderne il posto per la durata del pezzo. Quindi la maggiore sorpresa per me è stata proprio quella di essere riuscito per la prima volta a mettere nelle mie canzoni, in alcune soprattutto, me stesso. Non era mai successo prima, giuro.” (Michael Stipe)

“Abbiamo scelto Leaving New York come primo singolo perché in un certo senso è il pezzo che spiega meglio le nostre idee sull’America di oggi: è il racconto di una situazione che si è fatta insostenibile e della necessità di lasciarsela alle spalle per riuscire a preservarne un ricordo migliore” (Peter Buck)

“Non esiste un’interpretazione corretta per Leaving New York, l’ho scritta cercando di abbracciare più situazioni. La puoi prendere come una canzone d’amore per la città, per una persona, oppure per qualcosa di molto più profondo e sociale. E queste tre possibilità sono tutte giuste ed allo stesso tempo sbagliate, è sempre così nei testi che scrivo: non sono mia netti e lineari, forse perché neanche io lo sono come persona” (Micheal Stipe)

“Parteciperemo al Vote For Change tour in supporto di Kerry. È un’iniziativa importante e senza precedenti. Con noi ci saranno artisti che non hanno mai reso pubblico il loro appoggio ad un candidato in particolare, come Dave Mattews ,Bruce Springsteen… in un certo senso anche noi, ed altri che invece si sono schierati sovente (Pearl Jam, Dixie Chicks, James Taylor). Ci saranno due show per serata in altrettante città degli States ed altri eventi collaterali. Ogni sera cercheremo di sensibilizzare il pubblico ad andare a votare. È importante e credo che altri quattro anni con questa amministrazione non facciano bene a nessuno, dobbiamo far sentire la nostra voce. Poi penso che sarà una cosa anche divertente per chi ci verrà a sentire ed ogni serata sarà diversa dalla precedente, ci sarà parecchia interazione tra tutti i musicisti coinvolti.” (Peter Buck)

“Guardo le notizie che arrivano dall’Iraq e non riesco a smettere di provare molta tristezza. Ma il problema è alla base: questa guerra nasce dalle menzogne e l’America è una nazione governata con le menzogne. In questo momento, oltre la guerra che si combatte nel medioriente ce n’è un’altra in atto tra i media americani e chi cerca di fare controinformazione. Come per esempio con Michael Moore. Io non condivido totalmente le sue opinioni e so che anche le sue azioni ed i suoi film hanno un puro intento propagandistico, ma sono importanti e servono a scardinare le convinzioni di alcuni abitanti del paese. È come la storia di Davide e Golia. Il governo degli Stati Uniti è il gigante, Michael Moore e quelli che come noi parteciperanno al Vote For Change sono Davide. Speriamo l’esito sia quello che tutti ci auguriamo.”
(Michael Stipe)

“Per me è importante far capire alla gente che in questo momento più che definirsi contro Bush sarebbe meglio essere pro Kerry. Se non altro mi sembra una persona quantomeno più intelligente anche se effettivamente non è che sia molto difficile esserlo. Ma è una questione molto più complessa di così, in America è il sistema bipartitico a non funzionare più, basta ricordarsi di cosa è successo alle scorse elezioni. C’è bisogno di un cambiamento, mi sembra chiaro.”(Mike Mills)

“Il tour dell’anno scorso è stato molto bello ed è andato molto bene. Suoneremo qualche canzone inedita ed ovviamente i pezzi di Around The Sun, magari non tutti. Però vogliamo lasciarci aperta la possibilità di fare ogni sera uno show diverso e di far sentire al nostro pubblico le canzoni che desiderano sentire come Losing My Religion, The One I Love, Man On The Moon. C’è poco da fare: le abbiamo scritte noi, le amiamo, pensiamo che siano grandi e siamo contenti che il pubblico le ami quanto noi e non si sia ancora stufato di ascoltarle” (Peter Buck)

“Abbiamo un nuovo batterista, Bill Rieflin, che ha già suonato con noi la scorsa estate ed ha dato un contributo importantissimo al disco, dove ha suonato anche le tastiere. La gente se lo ricorda come il batterista dei Ministry, ma lui ha suonato con un casino di gente importante come Robert Fripp e la band di Chriss Novoselic. Non è un metallaro, tranquilli ed è molto bello suonare dal vivo con uno come lui”(Mike Mills)

“L’ultima volta che ho sentito un altro gruppo ed ho pensato: 'Oddio questi sono meglio di noi', è stato quando è uscito 'The Bends' dei Radiohead... era il millenovecentonovantacinque, se non sbaglio. Ultimamente mi piacciono molto i Thrills, con cui ho lavorato, ed il nuovo degli Interpol.”(Peter Buck)


“Io non ascolto molta musica quando lavoro ad un disco. Quando siamo in giro invece è Peter che si occupa dello stereo. Tre cose che ho apprezzato tantissimo ultimamente sono gli ultimi lavori di Elf Power, Olivia Tremor Control e Angela McLuscky e poi Charlie Morr che abbiamo visto dal vivo a Stoccolma e che ha fatto uscire un bel disco anche lui.”

“Mi piace da morire Bjork, l’adoro. Di Medulla ho ascoltato solo due pezzi ma c’è Peter che l’ha preso ed è totalmente impazzito. E’ pazzo di lei! “(Michael Stipe)

Arriva l’addetta della casa discografica e fa cenno che è finita. Non c’è più tempo per parlare. Michael Stipe fa per raccogliere la sua roba quando i giornalisti presenti si alzano e lo circondano per autografi e foto di rito. Ecco: questi sono i R.E.M., un gruppo capace di smuovere i sentimenti e di creare emozioni anche ad un manipolo di critici musicali che il luogo comune vorrebbe tutti puzza sotto il naso e distaccati, e che davanti a loro regrediscono immediatamente allo stadio adolescenziale. Non mi sembra una cosa da poco.