Saturday, April 23, 2005

Adam Green – American Idol

“Eh sì, al momento in Germania sono più famoso dei Rolling Stones!”

Adam Green scherza, ma qualcosa di vero c’è.
E’ da poco arrivato in Germania, dopo un incredibile successo ottenuto a Londra, e già si trova a dover rispondere alle domande inutili ed inopportune del sottoscritto.

Stiamo ancora ridendo su questa sua ultima affermazione, quando arriva qualcuno a chiamarlo:
“Oddio, è già passata mezz’ora, non me ne sono proprio accorto. Mi dispiace ma devo proprio andare via.
Devo uscire subito da qui. Scusami”.

Mentre mi mordo le mani per non essere riuscito a fare quella che nella mia testa doveva essere l’ultima domanda, penso che comunque qualcosa di buono l’abbiamo portato a casa. Basta fare un passo indietro e dare un’occhiata al cast.

Interpreti principali:
da questa parte del telefono – Il vostro cronista preferito, che sarei poi io (OK, la smetto).
Dall’altra – Adam Green. Il giovanissimo (solo venti tre anni) songwriter, chitarrista e chi più ne ha più ne metta. Dopo l’esordio folgorante dei Moldy Peaches (un solo album edito da Rough Trade e poi ripubblicato in quindicimila versioni diverse), ha virato verso una carriera solista fatta di lo-fi (“Garfield”), alt. country (“Friends Of Mine), per approdare, con “Gemstones”, a un pop edulcorato che lo fa apparire come una sorta di Michael Bublè dell’indie.
Un “cantante confidenziale”. In pratica.

“Sì, sono un torch-singer (ride). Però quello lì che hai nominato tu non l’ho mai sentito. Michael…come si chiama. E’ bravo? Dici che devo ascoltarlo?
In America, ti giuro, non l’ho mai sentito e neanche letto su una rivista. Ma stavi scherzando, vero?”

Sì, scherzavo.
“Comunque, non è che ho abbandonato le radici country e folk. Semplicemente ho smesso di scrivere le canzoni con la chitarra. A dire il vero, non è che la usassi spesso per comporre anche in precedenza. Di solito scrivevo direttamente cantando le melodie che mi venivano in mente, you know. Penso che il folk sia una chiave per capire tutto quello che faccio, ma non l’unica. Per come la vedo io, non serve saper suonare bene uno strumento per fare delle buone canzoni. Quello che conta è la melodia, il ritmo e tirare fuori un bel ritornello. Poi, è ovvio che per dare un po’ di spinta a tutto questo bisogna saper metterci sotto una bella parte di piano, o di chitarra. Io suono un sacco di strumenti. Tutti male, però ci provo. E questo mi aiuta non poco”.

Ascoltando uno dopo l’altro tutti i dischi di Adam Green, si ha come l’impressione di assistere ad una sorta di percorso che lo ha spinto, piano piano, ad allontanarsi dalla sgarrupatezza per arrivare, con quest’ultimo lavoro, ad un suono più pulito e maggiormente “prodotto”:

“Oddio, questo non è del tutto vero. ‘Gemstones’ è stato registrato nello stesso studio di ‘Friends Of Mine’ e con le stesse persone. Ogni volta che ho fatto un disco ho cercato di farlo usando la ‘migliore produzione possibile’. Ogni volta ho cercato di procurarmi microfoni e strumenti migliori della volta precedente. Questo è quello che io intendo per ‘produzione’. Non certo uno che stia lì a controllare sul mixer i livelli. Quello che rende ‘Gemstones’ così pulito è la cura che abbiamo messo negli arrangiamenti. Abbiamo fatto il possibile per onorare queste canzoni e l’abbiamo fatto, in pratica, suonando tutto live e con solo quattro giorni di tempo. Tutto quello che senti nel disco è stato prodotto direttamente suonando e cantando i pezzi dentro i microfoni, così come erano stati scritti. Senza sovraincisioni e cose simili. Avremmo potuto registrarli anche in casa, ma non avrebbero suonato così bene”.

Quando si parla con Adam, viene naturale perdersi in un percorso mentale che mette in fila New York, gli Strokes (in una canzone Fab Moretti –batterista- viene associato addirittura a Dostojevskij) e tutta la nuova scena musicale nata sulle strade di quella città che una volta avremmo chiamato Grande Mela. Bastano pochissimi secondi, però, per rendersi conto che lui viene da tutt’altro background:

“Eh sì, io non m’ispiro ai Television (risate, ndi). Scherzo, in realtà penso che nessuno dei gruppi di questa scena si ispiri totalmente a qualcun altro. Ti posso dire con certezza che agli Strokes non è mai fregato un cazzo dei Television. L’unica cosa che sapevano era che si trattava di una sporca band degli anni settanta, ma non li hanno ascoltati finché qualcuno non li ha usati come termine di paragone nelle recensioni. Dostojevskij, invece è davvero lo scrittore preferito di Fab. O meglio: quando siamo stati in tour insieme, lui si portava sempre dietro questa marea di libri e tutto mi è tornato in mente mentre scrivevo Carolina. Per quanto riguarda me, io non riesco a pensare alla musica in termini di ‘scene’ e ‘stili’. Per me, musica vuol dire solo fare un buon lavoro con le melodie e con gli accordi giusti, tentare di rappresentare, con le mie canzoni, me stesso e la mia personalità. Le mie influenze vengono tutte da cose che ho ascoltato lavorando in un negozio di dischi. Prima di allora erano stati gli ascolti di mia madre e del mio fratello maggiore ad avvicinarmi alla musica… le cose che sentivo alla TV, anche. Poi, una volta a scuola, ho incominciato a suonare la batteria ed apprezzare nomi storici dell’underground come Minor Threat, Black Flag, Bad Brains, ma anche The Jon Spencer Blues Explosion, The Make-Up e Palace Brothers. Lavorare in un negozio di dischi, invece, mi ha aiutato a scoprire grandi classici come Lou Reed, T- Rex, i Doors, Springsteen e soprattutto i vari Hank Williams, George Jones… insomma, un sacco di roba. Ricordo che quando avevo quattordici anni ho tenuto il mio primo concerto, in un bar, fatto quasi tutto di cover di Hank Williams e di mie vecchie canzoni. Tre anni dopo, mentre stavo suonando alla fermata della metropolitana è venuto un ragazzo e mi ha detto: ‘Ehi, dovresti andare a suonare al Sideways Cafè! Penso che gli piaceresti molto.’ Così ci sono andato ed ho finito per fare amicizia con un sacco di musicisti che bazzicavano da quelle parti. In pratica ho passato la maggior parte del tempo dentro quel posto. In un certo senso è come se per un po’ quella fosse stata casa mia.”


I dischi di Adam Green (soprattutto “Friends Of Mine” e “Gemstones”) avrebbero tutte le carte in regola per conquistare passaggi radiofonici e trasformare il nostro eroe in una di quelle pop star strafamose che tanto si diverte a prendere in giro. Tutto tranne una cosa: i testi.
Potrà mai arrivare primo in classifica, un tale che canta storie come quelle di Carolina e dei mattoni rossi che cadono dalla sua… insomma, da quella cosa lì?

“Quella di Carolina è una storia vera. Parla di una tipa che stava con un mio amico. Lui è diventato matto per questa ragazza ed ha lasciato New York per la California. Dopo pochissimo tempo si è ritrovato senza il becco di un quattrino e neanche un posto dove stare. Per cui si è trasformato in una specie di ragazzo oggetto, dato che Carolina gli pagava da mangiare, l’affitto ed anche i vestiti. Ti puoi immaginare cos’è successo quando è finita. Per il resto: a me piace moltissimo cantare delle persone, raccontare le storie di tutti i giorni, anche quelle che di solito non si raccontano. E’ per questo che parecchie delle mie canzoni si chiamano come i nomi dei personaggi che le hanno ispirate, è il mio modo per mantenermi in contatto con la realtà, è il modo che trovo più interessante. Anche Jessica Simpson è nata per lo stesso identico motivo, io lo so che lei è diventata famosa in Europa dopo che è uscita la mia canzone. Per cui è anche colpa mia, se alcuni canali musicali europei hanno comprato lo show che fa per MTV America (Newlyweds, reality show basato sulla vita di coppia della cantante e Nick Lachey) è perché in passato hanno trasmesso il mio video e mi hanno ospitato a suonare. Vi chiedo perdono (ancora risate, ndi), ma ti giuro che in America lei è sempre stata famosissima. Quando ho scritto la canzone eravamo in tour e, non si sa come, mi sono ritrovato in mano un giornale per teen-ager. Mi ricordo che ho visto la foto di Jessica Simpson e lei mi sembrava un po’…ehm…ritardata, e così abbiamo incominciato a scherzare su questa foto. Il mio amico Jack si è messo a suonare al piano ed io ho incominciato a cantare una melodia che avevo in mente da un po’ di giorni, improvvisando il testo. In seguito ho scritto anche il ritornello ed ho continuato a lavorare sulle strofe. Non avevo in mente di fare una canzone su Jessica Simpson, però mentre lo facevo, più andavo avanti col lavoro e più mi piaceva. La scrivevo e pensavo: dai, se viene bene la metto nel mio prossimo disco. Così ho incominciato a suonarla dal vivo, per testarla, e mi sono reso conto che piaceva anche alla gente, che avevo fatto un buon lavoro. E infatti è diventato il mio ‘unico singolo di successo’, un pezzo che mi piace un sacco cantare e che fa cantare il pubblico insieme a me (e qui riscoppia a ridere, ndi)”.

Tra le tante rivoluzioni che “Gemstones” ha portato nella musica di Adam c’è anche la scoperta di una coscienza politica e sociale:

“In realtà non è proprio così, non ho mai scritto canzoni politiche, neanche Choke on a Cock lo è. Certo, ci sono un paio di versi che parlano del Presidente Bush, ma il pezzo in realtà parla più dei media in generale. Mi occupo di politica solo nel senso che anche io ho votato, ed ho votato per ‘l’altro tipo’, però il mio impegno finisce lì. Io canto dei miei amici, della mia famiglia ed in un certo senso anche questa è politica. Mi interessa sapere quello che succede nel mondo, ma mi interessa di più parlare delle relazioni interpersonali, delle cose che possono accadere all’interno di un rapporto. Penso che tenere sott’occhio quel ‘piccolo governo’ che sono le nostre vite, sia importante quanto interessarsi a quello che combina il vero governo. Io ho votato, leggo i giornali, m’informo, però penso che la musica debba essere considerata solo per quello che è: musica. E non politica. Io ho letto un libro di Noam Chomsky e l’ho trovato veramente interessante, ma allo stesso tempo non penso sia altrettanto interessante andare ad un concerto e sentire lo stesso libro di Noam Chonsky saccheggiato nei discorsi dei musicisti. Certo, ho apprezzato e sono stato molto contento di quello che Bright Eyes e gli altri hanno fatto con il ‘Vote for Change’, è sicuramente stata una buona iniziativa, tuttavia, non so… io non c’entro niente con questa e gente e sono contento così. Ovviamente lo dico solo perché non mi hanno chiamato.
A parte gli scherzi, il mio problema è che non dimentico il passato e non riesco a dimenticare il disco che Springsteen ha fatto un paio di anni fa, le cose che diceva nei testi e le teorie che sosteneva. In ogni modo, sono contento che chi ha tanti soldi da spendere decida di tirarli fuori per quella che comunque era una buona causa”.

Eccolo qui, il nome del momento: Conor Oberst aka Bright Eyes.
Con due singoli è riuscito a conquistare la vetta delle classifiche, e come Devendra Banhart sta facendo parlare di sé ovunque. Sembra quasi che suonare canzoni folk accompagnati solo dalla chitarra sia la cosa giusta da fare ora, per ottenere un po’ di visibilità:

“Ho fatto un po’ di concerti con questa gente qua, e sono contento per loro. Devendra poi, è uno dei miei più cari amici, non il migliore, ma quasi, e sono fiero che la gente si stia accorgendo ora di lui. E’ una buona cosa. Quello che mi fa un po’ incazzare, però, è che a New York ci sono un sacco di nuovi songwriter di talento, ma non sento parlare di loro da nessuna parte e la gente non l’ignora. Non leggo i loro nomi sui giornali, non li sento in radio e non capisco proprio perché. Parlo di gente come Turner Cody, Ish Marquez, Dianne Cluck…Tommy Eisner. Questa gente ha fatto i più bei dischi che ho sentito negli ultimi tempi, ma nessuno sembra essersene accorto. Ci deve essere qualcosa di oscuro che decide chi debba meritare visibilità e chi no. Comunque quello che sta succedendo ora nella pop music è semplicemente incredibile.”

Incredibile come erano incredibili i Moldy Peaches, il duo formato da Adam e Kimya Dawson, che nel giro di un estate riuscì a catturare e stupire il pubblico dei più grandi festival rock, ed allo stesso tempo contribuì a creare un hype mai visto per due ragazzi con la chitarra come erano loro due. Sarà stato forse colpa degli strani vestiti che amavano indossare sul palco?

“Guarda, questa storia dei vestiti mi ha rotto le palle (ride). Ovunque si parla solo del mio costume di Robin Hood e questo è veramente ingiusto. Io non avevo solo il vestito da Robin Hood, ma ben dieci maschere che indossavo con regolarità, ma niente, per la gente sembra contare solo quel cavolo di Robin. Ti giuro che avevo dei costumi altrettanto belli: c’era quello da Graham Parson, quello da Ozzy Osbourne, comandante dei Marines, marinaio…ne avevo anche uno da Bootsy Collins! La cosa bella è che, a differenza di quanto credono tutti, quelli non erano abiti di scena che io e Kimya mettevamo per salire sul palco, no. Noi andavamo in giro proprio vestiti così!
Ho ascoltato ‘Hidden Vagenda’ (l’ultimo disco di Kimya Dawson, appunto) e secondo me è veramente un gran bell’album. Lei merita molto di più del successo e dell’attenzione che ha. E’ bravissima. Tornando al discorso di prima, credo che non indosserò più cose del genere. Quel periodo è finito. E’ il passato.”

Il presente (e anche il futuro) è interamente occupato da “Gemstones” e da un tour che lo porterà in giro per il mondo:

“Ti sembrerà strano, ma in Europa c’è molto più pubblico e molta più interesse per questo tipo di musica che negli States. Almeno, questo è quello che ho potuto notare io. Che poi, quando uno fa un concerto è sempre convinto che siano il pubblico ed i musicisti a fare la differenza. Ma non è così. Amico, quello che conta davvero è ‘la stanza’. Il posto dove stai suonando. E’ lei che decide come vanno le cose e quello che deve accadere. E’ sempre e solo ‘la stanza’, e tu che stai sul palco devi lottare per far sì che ‘la stanza’ ti venga dietro e ti stia a sentire. Ogni sera è una lotta. Una lotta contro gli spifferi, i problemi tecnici e la gente che chiacchiera mentre si beve la birra.
Ok, smetto di dire cazzate. Però è vero che è molto meglio venire a suonare da voi che negli Stati Uniti. In Francia, in Spagna, ovviamente in Inghilterra, e poi c’è la Germania”.

Già, la Germania.
In questo momento Adam Green gode di una popolarità spaventosa nella terra dei crucchi. Viene invitato a cantare negli show del sabato sera, è in copertina (contemporaneamente) di tutti i magazine musicali locali, i biglietti per vederlo dal vivo vanno comprati con mesi d’anticipo.
Ha anche pubblicato un libro di racconti e poesie. Forse verrà tradotto anche in inglese. Forse.

Come si diceva all’inizio:
“…più famoso dei Rolling Stones”, o per lo meno di Jessica Simpson.